Il Passatore un racconto lungo 100 km

L’avventura inizia sabato 29 maggio, alle ore 11, quando io, mia moglie Letizia, Sergio e Federica arriviamo a Firenze. E’ qui che i partecipanti devono presentarsi per iscriversi alla gara podistica più importante dell’anno: quella che tra noi viene familiarmente detta “il Passatore”.

Per i miei compagni di viaggio è un week-end di riposo e di svago, per me una sfida personale, un obiettivo a cui lavoro con costanza e duro allenamento da anni.

Dopo una passeggiata tra le bancarelle del mercatino di San Lorenzo ci avviamo a ritirare le iscrizioni. Lì mi aspetta Giampaolo, compagno di gara che conosco solo di nome, a cui ho promesso di affrontare questa avventura insieme, dato che lui non ha nessuno che gli può garantire un minimo di assistenza lungo il percorso.

“Piacere Fabio” dico io.

“Piacere Giampaolo” mi risponde lui.

Per capire meglio il mio compagno gli domando: “Scusa, ma tu che ritmi di gara vuoi tenere?”

“Ma – risponde lui – l’importante è mantenere un ritmo molto lento all’inizio; sai… il caldo, le salite… Obiettivo è passare a Borgo San Lorenzo in 3 ore e 40 minuti e a Colla di Casaglia in 6 ore, per poi aumentare l’andatura nella seconda parte del percorso”.

“Allora – rispondo io – la prima parte sono sicuro di farla con te, dopo vedremo!”

Tre anni fa, quando per la prima volta mi sono cimentato con il Passatore, ero passato per Borgo San Lorenzo in 3h e 16’, non avrò problemi a passarci in 3h e 40’: insomma, allora ero meno preparato, tanto che dall’80° chilometro ho dovuto finire la corsa a passo. Col senno di poi posso dire che allora non mi ero alimentato in modo adeguato, mi ero preoccupato solo di bere. Ora spero che la precedente esperienza mi sia servita d’insegnamento!

Il cielo ci aiuta: è una giornata mite, non fa molto caldo, qualche nuvolone all’orizzonte minaccia addirittura pioggia!

Giampaolo è preoccupato: “Ci mancherebbe che piovesse! E poi questo vento fastidioso che spinge contro ci romperà le scatole fino a che non incomincerà a imbrunire!”

Ma basta con le chiacchiere! E’ quasi ora. Vado al parcheggio a prepararmi, in macchina ho tutto l’occorrente. Per scaramanzia il rituale è sempre lo stesso: soliti pantaloncini, maglietta dell’ Atletica Sinalunga, calze nuove di pacca, vasellina perché i capezzoli non si irritino, numero di pettorale, scarpe e stringhe legate con il doppio nodo. Non so se le scarpe adempiranno a regola al loro dovere: hanno ormai corso quasi 1000 chilometri e si vantano di avere sul groppone anche un giro del lago Trasimeno (60 chilometri). E ora l’ultimo tocco di classe: fascia o cappellino? Guardo dentro la borsa e mi sembra che il mio caro vecchio compagno di avventure reclami il diritto di priorità: “Dopo tutti i chilometri che abbiamo fatto insieme in allenamento mica mi lascerai fuori dal gioco?”

Basta con i sentimentalismi. Decido: vada per la fascia! Poi se il gioco si farà duro tirerò in ballo anche il mio vecchio amico.

Mi presento alla partenza, saluto la mia “troupe d’assistenza” – Sergio, mia moglie e Federica – e ci diamo appuntamento al Passo le Croci (18° chilometro). Baci, abbracci, in bocca al lupo.

Alle 14 e 59 viene dato lo sparo. Io e Giampaolo ci scambiamo uno sguardo d’intesa, ci facciamo il segno della croce e… Via, si parte!

Passo lento, rilassato; 5’ 30’’ – 5’ 40’’ al chilometro. “Va bene così” dice Giampaolo.

Saliamo verso Fiesole; a San Domenico primo rifornimento: due bicchieri d’acqua e vai! Ora ci aspetta un leggero saliscendi – anzi più “sali” che “scendi” – in direzione l’Olmo, nei pressi di Passo le Croci. Come secondo previsioni un vento fastidioso non ci agevola la corsa; i corridori per combattere il nemico si sono coalizzati in piccoli gruppi. “Dài, saltiamo al gruppetto davanti” dice Giampaolo; e dopo due chilometri, “Dài, saltiamo a quello dopo ancora”. La cadenza è lenta, sono abituato ad una andatura regolare e sento che questi cambi di ritmo mi danno un po’ fastidio. Abbiamo impostato così tutta la corsa: Giampaolo mi aspetta al rifornimento, ripartiamo insieme, mi distanzia di 60-70 metri per poi aspettarmi al rifornimento successivo. Nonostante mi sforzi di mantenere il suo ritmo – che francamente mi sembra un po’ eccessivo per le mie possibilità – se la distanza tra noi aumenta, Giampaolo mi aspetta e ripartiamo insieme.

Ci avviciniamo all’Olmo. “C’è un fotografo – dice Giampaolo – Fatti fare una foto”. Mi avvicino a lui tagliando la carreggiata da destra verso sinistra per farmi immortalare bene, senza accorgermi che un podista mi sta superando proprio sulla sinistra. Ci scontriamo.

“Per Dio! Stai attento a dove vai… Mona!”

E’ vero, sono una persona pacata, ma in quel momento prende il sopravvento tutto il mio furore chianino: “Oh nini!! Guarda di sta tranquillo e di andà veloce perché se mi passi un’altra volta tra piedi con un cazzotto ti tolgo di sentimento… che per quando ti risvegli sei passo di moda!!!”

Arriviamo al Passo le Croci. Guardo il cronometro: 1h, 41’ 00’’. Non è possibile! Per fortuna che dovevamo andare piano; se ricordo bene la volta precedente ero giunto qui in 1h e 46’. Cerco con gli occhi mia moglie, non la vedo, vado avanti. Guardo ancora e non la vedo. Proseguo ancora un po’. Mi fermo al punto di rifornimento: sali, uva passa, cioccolata, pane e marmellata. E… mia moglie non si vede! In ogni caso non posso fermarmi ad aspettarla.

“Andiamo avanti Giampaolo!”

Iniziamo la discesa verso Borgo San Lorenzo. Cinque, sei chilometri e ancora non si vede nessuno dei nostri; comincio a preoccuparmi per loro e per me: è il momento più caldo della giornata, ho bisogno di bere, di conforto, di incoraggiamento e… comincio a sentire la stanchezza dovuta soprattutto all’alta temperatura.

Arrivo a Cini (30° chilometro), mi si affianca una macchina. Finalmente è mia moglie, che con tono scherzoso mi dice: “Miooohhh! Sei ancora qui?”

Io infuriato rispondo: “Ma dove siete stati?”

“S’è sbaglio strada, ma ti s’è ritrovo! ‘Un va bene?”

“’Un va bene, no! Fermatevi, ho una sete che brucio!”

Prendo un po’ di sali, vasellina per i capezzoli perché il vento contrario li fa irrigidire e riparto. Al rifornimento successivo (200 metri dopo) ci aspettano succo di frutta, uva passa, pane e marmellata e una strana gelatina, schifosa a vedersi, ma molto dolce ed energetica.

Riparto. Prossima meta: Borgo San Lorenzo. L’ultima volta sono passato di qui in 3h e 16‘ per poi “morire” al 75° chilometro. Quest’anno ci sono in 3h, 7’ e 9’’. Per fortuna che dovevamo andare piano! E lo faccio subito notare al mio compagno di sventura: “Giampaolo! E questo tu lo chiami andar piano?”

Mi spiega il suo piano d’azione: “Per sfruttare al meglio le energie affrontiamo le salite fino a Colla a passo, poi il resto ce lo facciamo a corsa!”

Cerco di dare fiducia a lui e… alle mie gambe. In effetti Giampaolo ha più esperienza di me e poi sento che il fisico incomincia a dare segni di cedimento: comincio a sentire dolore sotto i piedi. Probabilmente le scarpe non ce la fanno più a reggere enormi distanze. Al rifornimento successivo, quello di Panicaglia, il dolore si fa sempre più insistente. Pane, marmellata, cioccolata, sali, acqua. Davanti ad una casa ci attende un punto di ristoro strano, è organizzato da tre bambini: hanno predisposto un piccolo tavolo con sopra una bottiglia d’acqua, tre bicchieri, cinque spicchi di mela e un vassoio ricolmo di caramelle.

“Facciamoli contenti – dice Giampaolo – prendiamo almeno due caramelle”.

Il Passatore è bello anche per questo: durante il percorso sono molti i rifornimenti organizzati da bambini, che vivono questo passaggio di podisti per le loro zone, come un momento di vera festa. In cambio ti chiedono come  souvenir il cappellino o una mancia…. Purtroppo non ho soldi con me e decido di lasciare la fascia; non è un grande acquisto, ma è sicuramente tutto ciò che posso dare.

Arrivo a Ronta. La fascite – un forte dolore ai piedi – si fa sentire al punto di diventare insopportabile; non so se riuscirò ad andare avanti. Provo a cambiare le scarpe e vedo di proseguire. Sergio si è già preparato; mi aveva detto infatti che avrebbe corso con me nella salita della Colla.

Sergio preoccupato per le mie condizioni mi dice: “Ma come fai? Dopo soli 40 chilometri?”

E Giampaolo: “Prenditi un antidolorifico, ti aiuterà a lenire il dolore!” Mi faccio forza e provo a proseguire fino a Razzuolo, ma il dolore non ne vuol sapere di andarsene.

“Proviamo a mettere un po’ di cotone o di garza sotto la suola della scarpa – dice Sergio – dovrebbe aiutarti!”. Al rifornimento in un‘ambulanza tento anche questa soluzione. Mi sento scoraggiato e demotivato, sto perdendo posizioni in classifica, ma insisto. In gare di questo tipo quello che conta è la testa, dopo vengono le gambe.

In questo tratto, più che in tutti gli altri, Sergio è stato straordinario: mi ha aspettato, seguito, incoraggiato. Intanto mia moglie era sempre dietro, mi scortava passo passo  con l’auto.

Ancora altra sosta, guardo il cronometro: 5h 35’ (444° assoluto). Riprendo un po’ di coraggio: con tutti i miei problemi ai piedi, ho 40 minuti di vantaggio rispetto alla volta passata. Anche Sergio dopo aver fatto un lauto rifornimento prosegue con me e Giampaolo. Scendiamo verso Casaglia.

Il dolore ai piedi sta passando ma sorgono altri pensieri: devo ritrovare mia moglie, ormai sta facendo buio ed ho bisogno della lampadina per proseguire nel percorso. E non basta! A Casaglia c’è una deviazione; i corridori passano all’interno del paese invece le auto degli accompagnatori vengono dirottate nella circonvallazione esterna. Unica soluzione è che io e Giampaolo passiamo all’interno del paese, lasciando a Sergio il percorso esterno in modo da rintracciare mia moglie sulla circonvallazione. Dico a Sergio: “Ci troviamo all’uscita di Casaglia!”. Fuori dal paese ritrovo Sergio, ma non c’è traccia di Letizia.

Superiamo Crispino; ormai è buio, comincia a far freddo; ci sarebbe bisogno di una lampadina per vedere dove andare e di una leggera felpa. Ormai è più di un’ora che corriamo senza l’auto di scorta, decidiamo allora di usufruire dell’aiuto di un telefonino. L’occasione si presenta quando scendiamo verso la stazione di Fantino, un signore ci chiede delle indicazioni sui tempi del percorso e io chiedo: “Scusi, mica ha un cellulare?”

“Certo – risponde lui – ma in mezzo a queste montagne non si prende niente!”

Ora è panico. Ci fermiamo a fare pipì ed intanto decidiamo il da farsi. Siamo a Marradi. Freddo o non freddo, buio o non buio, non possiamo fermarci proprio ora che il peggio è passato. E’ deciso: si prosegue fino a Faenza!

Ci pervade un leggero senso di disperazione, ma l’obiettivo è troppo ambizioso. Ormai raggiungere il traguardo è una scommessa personale con noi stessi. Siamo tutti e tre demoralizzati, ma proseguiamo in silenzio. Di buono c’è che ormai non sento più dolore ai piedi. Marcio ad un ritmo costante, addirittura recuperando posizioni.

Mi si accosta una macchina. Mia moglie! Difficile a credersi: è più imbestialita lei che arriva bella tranquilla in macchina di noi che ormai non ce la facciamo più a tirare i piedi. “Disgraziato! Incosciente! Mi potevi dire che alla Colla andavi diritto! E’ merito di Federica se sono qui, io avrei proseguito per Faenza senza cercarvi più!”

“Smetti di blaterare – dico io – Piuttosto dammi una felpa e una lampadina che con questo buio un si vede più niente, né la strada, né le buche!”

Mi vesto velocemente e riprendo la corsa; i dolori non ci sono più; le gambe girano bene. Marradi in 7h e 19’ (376° assoluto). Ora mi sento veramente bene. Ed ecco in lontananza il cartello: Faenza 36 km.

E che sono per me 36 km? Niente! Il mio allenamento abituale! Ormai è fatta!

Arriviamo a San Cassiano e… solito rifornimento e con solita assistenza. Ho un’idea: perché non farsi fare un massaggio? Ricordo che la scorsa volta a questo punto del percorso li facevano. Domandiamo ad una signorina che ci indirizza verso l’interno di un circolo. Entriamo. In una stanza troviamo il solito bar di paese, giovani con la birra in mano (che voglia!) e anziani che stanno giocando una partita a scopa. In una sala attigua sono posizionati otto lettini, un dottore e quattro massaggiatori. Mi metto dapprima seduto, poi mi stendo completamente sul lettino. Giro la testa verso sinistra e vedo un concorrente russo (campionato europeo a squadre) seduto in una sedia avvolto in una coperta che tremava come una foglia; sulla destra in un altro lettino un altro podista completamente avvolto in una coperta di lana (ma è vivo o morto?); in altri due lettini dei concorrenti si stanno curando le piaghe e le vesciche sotto i piedi…

Una vera ecatombe! E pensare che Giampaolo sta fischiettando!

Esco un po’ frastornato da questo lazzaretto, tanto che stavo per dimenticarmi dentro la tanto preziosa lampadina. Per fortuna che Giampaolo è più attento di me e mi richiama all’ordine e alla lucidità.

“Ce lo facciamo un caffè prima di ripartire? – propongo io – Anzi perché non un panino con la mortadella? Non ci starebbe mica male?”

“No, ora no – mi richiama all’ordine Giampaolo – Rimandiamo all’ultimo rifornimento”.

Ormai è superata la mezzanotte; la testa e le gambe vanno per conto loro; per scaramanzia non controllo nemmeno il mio ritmo di gara, anche se mi sembra abbastanza buono, presumo sui 6 minuti al chilometro. Giampaolo mi aspetta al rifornimento di Strada Casale, poi a quello di Fognano, ma avvicinandomi a Brisighella non lo vedo più. Giampaolo non è solo un buon compagno di gara ma un ottimo punto di riferimento: mi aspetta anche quando ha qualche metro di vantaggio per spronarmi ad andare avanti e a seguirlo anche se ormai le forze sembrano venire meno. Ma ora è giusto che proceda da solo “senza pesi”, è giusto che Giampaolo si percorra i suoi ultimi 10 chilometri come vuole lui, al ritmo che preferisce.

Adesso sono proprio solo, io e la mia lampadina; mi rendo conto che sto andando sempre più piano, ma sono comunque convinto di riuscire a finire la gara in modo dignitoso. Nel cammino incontro Sergio che mi domanda con premura se mi serve qualcosa, come per tutti i buoni sportivi quando il gioco si fa duro i duri incominciano a giocare. In gare di questo calibro le gambe contano poco se la testa non si mantiene lucida e ferma nella convinzione di volere arrivare fino in fondo.

Mi giro la visiera del cappello in dietro e continuo per la mia strada con determinazione. Arrivo al rifornimento  di Brisighella (340° assoluto in 10h 8’ 41’’) insieme ad un podista romano, che è diventato il mio compagno di viaggio negli ultimi 10-15 chilometri.

“Oh romano, gli domandiamo se hanno un piatto di bucatini all’Amatriciana?”, faccio io.

E lui: “Magara!”

“Per i bucatini – risponde una ragazza del servizio ristoro – dovrete aspettare domani a mezzogiorno!”

“Anvedi questa! Bella mia, per domani a mezzogiorno spero d’esse sdraiato ner mi’ divano!”

Non perdo troppo tempo al ristoro; una fetta di pane con la marmellata e avanti!

Mi avvicino ad Errano; le forze mi stanno mancando quando un signore ad un certo punto mi sorpassa ad un’andatura abbastanza veloce. In cuor mio spero che la sua sia una tattica di gara visto che da almeno25 chilometri la gente che corre con me va più o meno allo stesso passo mio. Brutto a dirsi, ma purtroppo in questa bellissima gara c’è chi approfitta della notte per farsi dare un passaggio in auto per migliorare la propria posizione in classifica. Sfido chiunque  – amatore come me – ad arrivare al 95° chilometro ad un’andatura di 5 minuti!!!

Arrivo all’ultimo rifornimento, quello di Errano, e decido di farmi fare un massaggio per proseguire meglio il percorso. Alla ragazza che cerca di rimettermi in forma domando: “Gambe ridotte male, vero?” “No – risponde lei – c’è chi sta molto peggio di te!” Accanto a me, su un altro lettino, un podista molto intraprendente azzarda a chiedere il numero di telefono alla sua massaggiatrice, ed io forse per spirito di solidarietà mi intrometto e dico: “E daglielo ‘sto numero di telefono; non lo vedi che è in coma? Domani mattina non solo non si ricorda più il numero, ma non si ricorda nemmeno di essere passato di qui!”. E tra me penso: certo che siamo proprio matti, noi che per una passione siamo disposti a ridurci così. Vuoi vedere che alla fine ha ragione mia moglie quando ogni volta che mi vede partire per un allenamento commenta dicendo: “Te sei scemo!” E io convengo che per arrivare a questo punto bisogna davvero essere scemi!

Ormai mancano solo 5 chilometri. Sto andando sempre più piano, ma continuo a correre (a occhio e croce 6’ 30’’ a chilometro). Qualche concorrente mi supera, ma la cosa non mi interessa; ora cerco solo l’arrivo. Non ce la faccio più! Imbocco il viale che porta dentro Faenza, è lungo circa 2 chilometri. Due chilometri interminabili. Un viale lungo, diritto, ma dove è la fine? Come nel deserto, in un miraggio ingannevole di tanto in tanto mi sembra di vedere lo striscione finale, laggiù, giù in fondo e… invece niente! No, ancora non c’è!

Due concorrenti mi superano. Mi ripeto con insistenza: che te ne frega della classifica? Sei arrivato in fondo! Basta così!

Entro dentro Faenza; ad un incrocio un cartello annuncia: 400 metri all’arrivo. Vedo sulla destra la Ford Focus di Sergio ed al centro un vigile urbano che mi indica l’arrivo.

E’ finita. Altri 400 metri ed è finita.

Vorrei avere ben fisso in mente ogni particolare di quel momento, ma purtroppo non ricordo nulla di chi o che cosa mi fosse passato vicino fino al raggiungimento dello striscione del traguardo.



Faenza: 11h 43’ 5’’, 361° assoluto.

Mi ricordo Fiesole, il Passo le Croci, il caldo, la salita della Colla con la fascite e la lunga discesa, con la lampadina alla mano, per cercare di evitare le buche. In tutta onestà non ricordo di aver tagliato il traguardo. Ho un vago ricordo di una ragazza che mi ha dato una medaglia; poi mi sono complimentato con mia moglie o… forse è successo il contrario. Mi sembra di aver delegato Sergio a ritirare il pacco gara e il certificato di arrivo.

Una cosa sola ricordo con certezza: mi sono presentato al ristoro finale ed ho chiesto: “Per favore due fette di pane con la mortadella di Bologna!”

Un altro vicino a me chiedeva: “Scusi , avete ancora del tavernello rosso?”

“No, finito!”

Dico io: “La sbronza a questo punto ce la possiamo prendere anche con il Tavernello bianco!!”

Ho voluto raccontare questa mia avventura non certo per vantarmi del risultato – del tutto nella media – né tanto meno per fare la bella faccia con chi non ha il coraggio, la voglia o la costanza di preparare una gara di questo genere.

La mia è stata semplicemente una sfida con me stesso e credetemi che non è stato semplice, io quattrocentista puro con i miei 76 kg.

Ed ora posso dire con certezza di aver vinto la mia sfida personale, non tanto per il risultato conseguito, quanto per il ricordo che serbo nel cuore del Passatore. Di solito quando corro nelle mie gare paesane  di 8, 10, 15 chilometri e passo nel centri di piccoli paesi e borghi, davanti alle abitazioni, la gente spesso ci “incoraggia” con  un: “Ma dove andate imbecilli?”

Al Passatore tutto questo non esiste! Non c’è casa, non c’è curva, non c’è ristoro dove la cordialità non regni sovrana, addirittura in certi casi diventa stucchevole. La stessa disponibilità e cordialità animano anche gli accompagnatori che seguono la gara dalle auto, senza spirito di competizione o egoismo; tutti pronti ad aiutarsi l’un l’altro. E così ci si scambia cerotti, sali, pomate…. o solo una parola d’incoraggiamento. La gente disposta lungo il percorso – accompagnatori, organizzatori, abitanti del luogo – non partecipa in modo distaccato alla gara, ma la vive fino in fondo e condivide con ogni corridore il peso di ogni goccia di sudore. E vi posso garantire che ogni goccia di sudore pesa davvero tanto!

Questo è il bello del Passatore.

Fabio Laurini 

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